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I miei riferimenti vinosi (2): Intervista ad Andrea Petrini

(iviaggiatorigourmet.blogspot.com)

Dopo aver inaugurato, seppur indirettamente, la rubrica sui miei riferimenti in tema di vino attraverso l’intervista ad Armando Castagno, ho deciso di proseguire questo percorso – che ancor prima di essere indirizzato a voi che leggerete è una sorta di viaggio intimo e personale di conoscenza, formazione e (si spera) miglioramento – intervistando Andrea Petrini.

Classe 1974, può a ragione essere considerato come uno dei primi e più influenti wineblogger italiani, visto che dal 2008 è online con il suo blog Percorsi di Vino, oltre ad essere impegnato in innumerevoli altre attività (organizzative, di docenza e di promozione) all’interno del mondo che appassiona tutti noi.

Una persona che ho sempre stimato per la correttezza e l’onestà intellettuale ancor prima che per la professionalità e competenza che mostra in ogni suo articolo o post, e che ancora una volta si è dimostrato gentilissimo e disponibile nell’accettare e rispondere alle domande che gli ho posto.

Ciao Andrea. Innanzitutto ti ringrazio per aver accettato questa intervista. Partirei con una domanda di carattere personale. Chi avresti voluto diventare da bambino?

Avrei voluto fare il pilota di caccia, di aerei militari, e durante gli anni della mia adolescenza ricordo che avevo il poster delle Frecce Tricolori in camera. Verso i quattordici-quindici anni di età decisi di informarmi seriamente su cosa fosse necessario fare per diventarlo, ma nello stesso periodo scoprii che soffrivo di vertigini, e che dunque non avrei avuto le caratteristiche fisiche adatte per quel tipo di lavoro. Inoltre, dopo aver assolto il periodo di leva, compresi che la vita militare non faceva per me, e con ancora più convinzione scelsi il percorso universitario che ha poi determinato la mia carriera lavorativa.

Parliamo della tua iniziazione enoica. Esiste un aneddoto, un particolare momento della tua vita o anche solo un episodio a cui associ la nascita della tua passione per il vino?

Più che un singolo momento, ricordo con piacere il periodo in cui tutto questo iniziò. Avevo sempre bevuto, anche se da ragazzo preferivo la birra (specie quella irlandese) ed acquistavo vino prevalentemente al supermercato. Erano i primi anni di Internet, ed apparentemente senza motivo, mi ritrovai sul Forum del Gambero Rosso, che in quel periodo era animato e frequentato da alcune delle personalità che successivamente sarebbe divenute tra le più influenti ed importanti del vino italiano ma non solo. Per certi versi era un ambiente un po’ snob, ma al tempo stesso era pieno di persone vere, competenti e sinceramente innamorate del vino. Cominciai avidamente a leggere quanto dicevano, iniziando a partecipare alle discussioni ed appassionandomi ogni giorno di più a questo mondo, fino a che decisi di iscrivermi ad un corso di avvicinamento al vino tenuto da Fabio Turchetti presso l’Enoteca Costantini a Roma. Da lì è stato tutto un crescendo, e l’assaggio di una meravigliosa versione di Ornellaia 1990 ha chiuso idealmente il cerchio, facendomi comprendere che la magia di cui parlavano esisteva davvero.

I tuoi maestri del vino. C’è qualcuno che in questi anni hai preso a riferimento, che ti ha ispirato o consigliato, e che tuttora consideri alla stregua di un maestro?

Senza dubbio il già citato Fabio Turchetti, mio primo maestro del vino. Poi Paolo Lauciani, Massimo Billetto e Daniela Scrobogna, miei insegnanti e relatori ai tempi del corso di Sommelier AIS. Con buona probabilità senza la loro competenza, passione ed amore per il vino, tutti aspetti che hanno saputo trasmettermi durante il mio percorso di studio, non avrei continuato questa meravigliosa avventura. Infine, come non citare Armando Castagno, maestro, superbo conoscitore di vino ma anche persona di smisurata cultura.

Se fossi un vino. Qual è il vino che per caratteristiche associ maggiormente a te? E quale quello a cui non vorresti assomigliare?

Credo sarei un vino appartenente ad una piccola, semisconosciuta ma valida DOC, dato che per mia natura sono riservato e non amo apparire. Preferisco lavorare dietro le quinte, sono più regista che attore, seppur di qualità. Probabilmente sarei un Loazzolo, un vino dolce a base Moscato Bianco che rappresenta la più piccola DOC italiana, un nettare conosciuto da pochi ma al tempo stesso di eccellente valore. Al contrario, non vorrei essere un Merlot italiano, spesso omologato e scontato, anche se non si può negare che anche in questo ambito ci siano diverse etichette di livello eccelso (la prima che mi viene in mente è il Messorio Le Macchiole) e che vanno in direzione diametralmente opposta.

Esistono delle caratteristiche comuni a tutti i grandi vini, qualcosa che – al di là della valutazione centesimale – te lo pone su una categoria differente rispetto a tanti altri anche ugualmente “buoni”?

Il grande vino è complessità, profondità ed imprevedibilità. E’ quello che sa emozionare, che ti fa venire la pelle d’oca e che anche a distanza di anni ricordi in maniera indelebile, allo stesso modo in cui accade quando guardi un grande film o un’opera d’arte di inestimabile valore.

Tra le attività che porti avanti con successo c’è anche quello di relatore AIS, oltre che quella di wineblogger ed organizzatore di eventi. Pensi che la comunicazione intorno al vino ed alla figura dell’esperto di vino sia in qualche modo cambiata negli ultimi anni? Se sì, in che modo?

Senza dubbio sì. In principio esistevano solo scrittori che raccontavano il vino, poi arrivarono le guide ed i giornalisti che ad esse facevano riferimento. In contrapposizione a quest’ultima categoria, quasi come fosse una forma di “resistenza enoica”, con l’avvento della rete emersero i blogger, che percependo i giornalisti delle guide come poco indipendenti, si proponevano di far conoscere vini fino a quel momento sconosciuti o quantomeno – ai loro occhi – poco considerati dalla critica. Negli ultimi anni, con l’avvento sempre più imperante dei social, la comunicazione intorno al vino è ulteriormente cambiata, ed oggi la contrapposizione è tra giornalisti/blogger ed influencer. I primi chiaramente più veicolati ai contenuti, i secondi più orientati verso una comunicazione più immediata e diretta. Da parte mia, pur appartenendo alla prima categoria, sono dell’idea che tutti siano liberi di scrivere di vino, con i mezzi e le metodologie che ognuno ritiene opportune, ma alla fine bisogna tenere conto che sarà sempre il lettore il nostro giudice per cui, se scrivi sciocchezze o comunichi vino in maniera poco ortodossa, alla lunga sarai spazzato via dall’ambiente.

Critica ed indipendenza. Al di là delle buone intenzioni o delle dichiarazioni di facciata, si può essere indipendenti e liberi da condizionamenti in un mondo complesso ed in cui – oggettivamente – ci sono interessi economici enormi come quello del vino?

Assolutamente sì. E’ possibilissimo e soprattutto lo si deve per rispetto di chi ti legge. L’essere onesti con i propri lettori, ad esempio avvertendoli qualora si stia promuovendo un vino mediante una collaborazione remunerata, è un requisito di fondamentale importanza, anche perché ne va della propria reputazione, che una volta persa determina la fine di ogni percorso professionale, nel vino ma non solo.

Ritieni che sia stato fatto (in passato ma anche oggi) il massimo possibile per promuovere il nostro vino nel mondo? Quali sono gli aspetti – se ci sono – su cui dovremmo ancora lavorare seriamente per colmare il gap con i nostri cugini d’Oltralpe? E quali, invece, sono i nostri punti di forza che dovremmo valorizzare maggiormente?

No, non è stato fatto il massimo, ed almeno su due differenti piani. Il primo riguarda l’organizzazione dell’intero settore vitivinicolo, molto spesso demandato ad una politica (ma non solo) che sa poco o nulla di vino, ma che soprattutto non hai idea di come sostenere la catena produttiva ed aiutare la promozione dei prodotti. L’altro aspetto è relativo alla mancanza di sistema all’interno dei produttori e dei consorzi, con tante personalità diverse che anziché fare squadra ed agire in nome dell’interesse comune, preferiscono guardare il proprio orticello se non proprio farsi i dispetti a vicenda, non perdendo occasione per parlar male del proprio vicino. Tutto il contrario di quel che accade in Francia, in cui la politica lavora in sinergia con il mondo vitivinicolo ed in cui i produttori sanno fare squadra in maniera sistemica ed importante. Se poi parliamo dei nostri punti di forza da promuovere e valorizzare ancor di più, metterei senza dubbio la qualità nella fascia media di prezzo. In Francia, Stati Uniti o Australia – solo per citare alcuni esempi – per bere molto bene è necessario spendere cifre importanti, mentre nel nostro paese cercando bene e sapendo scegliere, si possono trovare etichette goduriose a prezzi accessibili. Penso al Verdicchio, che nelle migliori espressioni ha poco da invidiare ad un Borgogna di fascia medio/alto, pur costando il più delle volte parecchio meno.

Ci sono dei territori del vino (non necessariamente in Italia) che a tuo avviso non hanno ancora raggiunto la notorietà che meritano e sui quali scommetteresti nei prossimi anni?

Ne cito tre, tutti in Italia, anche se – evidentemente – ce ne sarebbero parecchi. Il primo che mi viene in mente è la zona del Canavese, che ha davvero tutto per fare molto bene, poi quella del Cesanese del Piglio ed infine la Sardegna più interna (Mamoiada, Oliena, Jerzu) in cui il Cannonau esprime vini straordinari e che troppo spesso è limitata per colpa dei produttori e del loro carattere chiuso.

Qual è la tua opinione sull’universo biodinamico e naturale?

Su questa cosa sono assolutamente laico, in quanto non ho preconcetti di sorta ed ho la curiosità di assaggiare tutto senza precludermi nulla. Inoltre, concetti come la sostenibilità e l’intervento minimo dell’uomo in vigna ed in cantina non possono che essere apprezzati e visti in maniera positiva. Certo che però occorre rimanere sempre e comunque nell’ambito del vino di qualità, aderente al vitigno e territoriale, altrimenti si finisce per parlare più di marketing che di vino.

Hai un consiglio da dare una persona – giovane o meno – che si avvicina, con interesse ma anche con riverenza, al mondo del vino?

Portare avanti il proprio percorso con passione ed impegno, senza pensare al guadagno. Cercare – come ho detto prima – di essere onesti con il lettore ma ancor prima con sé stessi.

Programmi per il futuro. Come ti vedi tra qualche anno? Pensi di proseguire nel percorso che stai portando avanti oggi o vorresti misurarti in qualche nuova avventura?

Al momento sto lavorando, insieme a Slowfood/Slowine, al progetto di portare a Roma una sede della Banca del Vino di Pollenzo. Stiamo cercando una sede adeguata, attraverso la quale promuovere la cultura del vino e la nascita di eventi ed attività ad esso legati. Inoltre, sto dando il mio contributo all’organizzazione della prossima edizione di Beviamoci Sud, rassegna dedicata ai grandi vini del meridione e che quest’anno non si è potuta svolgere causa Covid. Per il resto, chi vivrà vedrà.

Grazie mille caro Andrea, per la tua gentilezza e disponibilità, ma anche e soprattutto per averci fornito il tuo personale punto di vista sul vino, il mondo che noi tutti amiamo.

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